Il fenomeno televisivo ha raggiunto dimensioni imponenti e nessun altro mezzo di comunicazione di massa ha una platea così vasta.
Per capire la televisione occorre partire dalla radio: è stata la radio, infatti, a segnare un punto di rottura rispetto ai media precedenti, generando per la prima volta una trasmissione a flusso verso un pubblico di vasta scala e pressocché indefinito.
Le possibilità applicative di questo mezzo furono rese possibili dalle prime ricerche sulle onde elettromagnetiche dalla seconda metà del XIX secolo e dai conflitti mondiali del XX, determinanti nel definire l’assetto del sistema di trasmissione elettromagnetica in Europa. Alla fine degli anni 20 si delineano in Europa e negli Stati Uniti due modelli ben distinti di radiodiffusione: in molti paesi europei si optò per un monopolio pubblico, nel quale lo Stato non si limita a un ruolo di regolatore esterno dell’attività, ma interviene in modo sempre più penetrante nelle scelte di gestione del servizio; negli USA, al contrario, il legislatore affida al mercato e al laissez faire la diffusione di questo nuovo mezzo, nel rispetto del liberismo economico. Inoltre, il First Amendment della Costituzione americana impedisce qualsiasi intervento regolativo del Congresso.
Le ragioni che determinano la nascita del monopolio pubblico in Italia furono precisamente di tre tipi:
ragioni tecniche: la limitata disponibilità dell’etere porta alla formazione della logica di scarsità, secondo la quale lo Stato reclama a sé la gestione e il controllo dello spettro limitato di frequenze;
ragioni economiche: lo Stato vuole evitare che il mezzo risulti esposto agli abusi dei grandi economici e ai rischi oligopolistici;
ragioni politiche: lo Stato era ben consapevole del potere di questo mezzo per la costruzione del consenso.
Quando la televisione inizia a essere utilizzata (in Italia prima annunciatrice alle ore 11 del 3 gennaio 1954), il suo percorso regolativo è in gran parte già segnato da quello della radio.
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